In qualsiasi luogo vi troviate, se in quel momento siete nello stato del rigpa, allora quello secondo l’insegnamento Dzogchen è il vostro posto, il vostro luogo sacro. In genere le persone per fare la pratica desiderano andare in un luogo santo come un tempio. Ma quando siete nella presenza istantanea, allora ovunque voi siate, quello diventa il luogo sacro, il vostro tempio.
Nell’insegnamento Dzogchen si usa ampiamente il termine “integrazione”, il cui vero significato è che un praticante Dzogchen dovrebbe innanzitutto essere nello stato dello Dzogchen, ossia nella sua vera condizione. Per essere nella propria vera condizione bisogna prima scoprire tale stato e averne conoscenza. Se avete esperienza e conoscenza dello stato che, nell’insegnamento Dzogchen, chiamiamo lo stato del rigpa o stato della contemplazione, allora avete la possibilità di integrare quella contemplazione nelle circostanze della vostra condizione normale e la condizione normale si integra nello stato della contemplazione.
Certo, quando ragioniamo con l’intelletto integrando tutte le circostanze della vita normale nello stato della contemplazione, o integrando la capacità di contemplazione nella condizione relativa, questi sembrano essere due aspetti diversi. Ma quando siete nella vostra vera natura o condizione non c’è differenza tra loro.
Namkha Arted
Come imparare a integrare questa conoscenza? Nell’insegnamento Dzogchen c’è una pratica molto famosa chiamata namkha arted (nam mkha ar gted). Namkha significa spazio. Arted significa guardare nello spazio e allo stesso tempo essere quello spazio vuoto. Nella vostra condizione avete il vuoto o lo spazio interno. Allo stesso tempo avete lo spazio esterno al di fuori di voi. Quindi, quando guardate nello spazio vuoto del cielo significa che state guardando nello spazio esterno, la vostra presenza è nello spazio vuoto, questo significa che siete anche nel vostro spazio interno. Non c’è differenza tra spazio interno ed esterno. Quando fate la pratica di namkha arted se siete nello stato del rigpa, potete fare quest’esperienza.
Chiarezza
È lo stesso principio quando siete nello stato della contemplazione. Ad esempio, aprite gli occhi e vedete oggetti. Possono avere colore e forma piacevole o sgradevole. Non importa. In ogni caso potete vedere chiaramente gli oggetti e notarne colore e forma. Prima di iniziare ad entrare nel giudizio, tutto quello che vedete fa parte della vostra chiarezza. Ma anche quando attraverso la mente ricevete quell’informazione, se siete consapevoli di essere nello stato della presenza istantanea, non ne venite distratti. In quel momento dei pensieri possono sorgere. Può esserci una continuazione di pensieri ma non ne venite distratti. Siete consapevoli. Anche in questo caso quello che vedete continua a far parte della vostra chiarezza.
Distrazione
Naturalmente se venite distratti dai pensieri e non c’è continuazione nella presenza istantanea, allora non potete dire che sia la vostra chiarezza, perché con la distrazione e i concetti ignorate la vera natura della chiarezza, in quel momento state giudicando se qualcosa sia buono o cattivo. Se avete l’idea che una cosa sia buona allora avete anche l’idea di accettarla. Se avete l’idea che qualcosa non vada, allora avete il concetto di rifiutarla. In tibetano si chiamano chag (chags) e dang (sdang). Chag significa attaccamento e dang significa rabbia.
In tutti i contatti sensoriali con gli oggetti abbiamo questo tipo di chiarezza istantanea e se in quel momento abbiamo la presenza istantanea e la continuazione di essa, tutti i contatti sensoriali diventano parte della nostra chiarezza. Ma in genere ne veniamo distratti e non c’è più funzione della chiarezza. Quindi, quando diciamo di essere nello stato dell’integrazione, significa che siamo continuamente nella presenza istantanea. Se siamo nella presenza istantanea non c’è più considerazione o concetto di soggetto e oggetto e non ci sono attaccamento e rabbia ordinari. Di conseguenza questo significa che non c’è nulla da accettare o da rifiutare. Ovviamente se non avete il concetto di accettare o di rifiutare, allora non avete la possibilità di produrre karma negativo. Dunque, questo è il vero significato di integrazione.
Autoliberazione
Potete scoprire veramente cosa significa integrazione solo quando siete nello stato della contemplazione o rigpa. Ad esempio, se sentite un suono, potrebbe essere piacevole o terribile. Quando siete distratti dal suono, se è piacevole sviluppate attaccamento ad esso, mentre se è terribile lo rifiutate. In questo modo producete karma ed entrate in azione. Se sentite che un suono è terribile e non vi piace, avete quel concetto, e giorno dopo giorno producete e accumulate le relative tensioni. Ad esempio, se sentite un suono spiacevole oggi, domani lo sentirete ancora più orribile perché vi caricate e sviluppate le tensioni. Le tensioni si sviluppano continuamente. Alla fine, se non riuscite a eliminare quel suono, inizierete a lottare con esso. In quel modo la tensione diventa ancora maggiore.
Ma se integrate un suono, che sia piacevole o spiacevole poco importa, significa che siete in quella chiarezza, nella vera natura del suono. Il suono non è qualcosa al di fuori di voi che vi dà una sensazione terribile e voi siete da qualche altra parte a ricevere un brutto suono. Se voi siete il suono, se siete presenti nel suono, non si tratta di pensare o sentire se sia buono o cattivo. Nella natura del suono non esiste un aspetto buono o cattivo. Il suono è solo suono. Quindi, quando siete nello stato della contemplazione e allo stesso tempo siete il suono e siete nell’ integrazione, non potete avere alcun tipo di tensione. Automaticamente liberate quel problema. Questo è il principio dell’auto-liberazione. Non state trasformando un suono in qualcos’altro. Ad esempio, non state trasformando un suono cattivo in uno buono per poi godervelo. Voi siete quel suono e questo è molto diverso. Quindi questo è il principio dell’ integrazione.
Dualismo
Abbiamo cinque sensi e, se includiamo la mente, sono sei. Allo stesso modo abbiamo sei organi di senso e relativi oggetti dei sensi. Quando abbiamo un contatto sensoriale con gli oggetti, non rimaniamo nella condizione dualistica ma nella presenza istantanea senza la considerazione di soggetto e oggetto, nella condizione reale. Questo è il vero significato dell’integrazione. Non avete altro da scoprire. Nell’insegnamento Dzogchen diciamo “quando scopri uno, allora scopri tutto”. Significa che quando scoprite la presenza istantanea o lo stato del rigpa o della contemplazione, allora scoprite l’intero universo, tutta la vostra considerazione di soggetto e oggetto nell’integrazione. Se fate qust’esperienza, scoprite questo principio, allora ci sono molte possibilità.
Siamo esseri umani che vivono nella condizione relativa. Ciò significa che tutti gli esseri umani hanno una visione karmica umana che è prodotta dal karma collettivo. Abbiamo questo karma collettivo perché abbiamo le stesse emozioni e attraverso queste emozioni produciamo lo stesso karma. Attraverso questo tipo di karma abbiamo le conseguenze della stessa visione karmica che è la condizione umana. Nella visione umana e dimensione umana consideriamo le cose essere molto reali, concrete e importanti. Ci sentiamo così perché siamo umani, e questa è la condizione degli esseri umani e delle loro circostanze: tutto è reale e concreto. Ciò significa che viviamo nella visione dualistica con soggetto e oggetto.
Condizione relativa
Naturalmente non è così facile per un praticante essere direttamente e continuamente fin dall’inizio nello stato della contemplazione. Nella condizione relativa abbiamo il corpo fisico e anche i limiti della nostra energia e della mente. Per mantenere il corpo abbiamo bisogno di elementi materiali: quando abbiamo fame abbiamo bisogno di cibo e quando abbiamo sete abbiamo bisogno di bere. Tutte queste cose sono molto concrete per la visione karmica di un essere umano. Ma se avete conoscenza dell’integrazione, allora c’è il modo di rilassarsi senza sviluppare tensioni e attraverso questo la possibilità di integrare tutto nella pratica, nella conoscenza.
Se rimanete troppo nella vostra considerazione di soggetto e oggetto, buono e cattivo, sviluppando il concetto che c’è qualcosa da accettare e qualcosa da rifiutare, allora naturalmente, le tensioni si svilupperanno giorno dopo giorno e non ci sarà alcuna possibilità di risiedere nello stato dell’integrazione. Ma se conoscete l’integrazione, allora quella è una capacità da imparare, e sviluppare. Quindi uno dei principi più importanti dell’insegnamento è la nostra vera conoscenza. Un principio che non si riferisce a qualcosa di esterno.
Attaccamento
Quando il grande maestro Tilopa diede consigli al suo discepolo, il Mahasiddha Naropa, gli disse: “Il problema non sono le visioni impure, ma il nostro attaccamento (ad esse)”. Questo è un esempio.
Se avete attaccamento, allora avete considerazione di soggetto e oggetto, buono e cattivo, puro e impuro e rimanete in questo concetto e lo applicate rifiutando e accettando. Se sapete che il problema è dentro di voi, nel vostro attaccamento, allora significa che il problema non è esterno e se sapete che il problema è il vostro attaccamento allora vi ricordate che l’attaccamento è la conseguenza del giudizio. Il giudizio nasce attraverso il contatto sensoriale con gli oggetti.
Prendiamo ad esempio la mente. L’oggetto della mente è tutto il dharma, tutti i fenomeni. Quindi pensiamo, giudichiamo, consideriamo che qualcosa sia buona o cattiva. Se consideriamo buona una cosa, consideriamo subito perché è buona e cerchiamo di darne una giustificazione. Quando arriviamo alla giustificazione, la consideriamo logica, qualcosa di reale. In questo modo siamo distratti e creiamo attaccamento o rabbia e camminiamo continuamente con attaccamento e rabbia come se fossero due gambe. In questo modo andiamo avanti nel samsara infinito. Se scopriamo che questo principio è legato alla distrazione, non ne veniamo distratti e rimaniamo presenti nella vera conoscenza, nella nostra reale condizione, allora siamo in uno stato di integrazione e non c’è niente di sbagliato. Nell’insegnamento Dzogchen, questo è chiamato il principio di Samantabadra, Kuntuzangpo (Kun tu bzang po). Kuntu significa tutto, per sempre, zangpo significa buono.
Va tutto bene e non c’è niente che non abbia valore e che voi dobbiate rifiutare. Naturalmente, se non avete nulla da rifiutare, allora non avete nulla da accettare. Va tutto bene. Potete capire che va tutto bene quando entrate davvero nello stato di integrazione.
In tibetano diciamo ying rig yermed (bying rig dbyer med). Ying significa dharmadhatu. Dhatu significa la vera condizione di tutti i fenomeni che è il vuoto. Nell’insegnamento Dzogchen diciamo kadag (ka dag). Kadag significa puro fin dall’inizio, la pura dimensione del vuoto. Rig significa presenza istantanea, Rigpa. Se siete solo nella vacuità, questa è solo una parte della vostra esperienza, ma non è lo stato di rigpa. Essere nello stato della presenza istantanea nel vuoto, questo è lo stato di rigpa. Ma poi, mentre siete in uno stato di presenza istantanea, scoprite che è non-duale. Non potete distinguere o separare il vuoto dalla presenza istantanea. Questo è chiamato yermed, non-duale. Ying rig yermed, lo stato di ying e rigpa non duale. Quando abbiamo questa conoscenza ed entriamo in essa, allora diciamo ying rig dre (bying rig ‘dres). Dre è un verbo e significa integrare. In questo caso significa che la dimensione del vuoto è integrata nello stato di rigpa. Oppure lo stato di rigpa è integrato nel vuoto. Quindi è non-duale.
Così com’è
Allo stesso modo possiamo integrare il comportamento, la nostra condizione relativa, tutto. Nell’insegnamento Dzogchen, se vi trovate in un qualsiasi luogo e in quel momento siete nello stato di rigpa, allora quello è il vostro posto, il vostro luogo sacro o santo. In genere le persone desiderano andare in un luogo santo come un tempio per fare la pratica. Ma quando siete nella presenza istantanea, ovunque voi siate quello diventa un luogo santo, il vostro tempio.
Lo Dzogchen Upadesha spiega la parola chogshag (cog bzhag). Chogshag significa rimanere nello stato così com’è. Questo significa che se siete sdraiati sul letto e siete nella presenza istantanea, nello stato di rigpa, va bene. Se siete in un tempio con un’atmosfera meravigliosa, siete seduti in una posizione corretta, nello stato di rigpa, va bene lo stesso. O magari state guidando un’auto nella confusione di una città, e in quel momento siete in uno stato di contemplazione, anche va bene. Non c’è molta differenza tra guidare una macchina, essere sdraiati sul letto o trovarsi in un tempio. Tutto è kuntuzangpo.
Quindi non serve rifiutare qualcosa come il luogo in cui vi trovate e cercare di raggiungere un posto più interessante, o rifiutare la vostra considerazione della situazione mondana e rifugiarvi in un bel luogo tranquillo o in un monastero. Questo non è il principio. Il principio è essere nella propria conoscenza ed essere capaci di integrare.
Dare valore
C’è un detto di Milarepa: “Tutti i movimenti come camminare e fare cose, tutto è yantra yoga”. Se un praticante, uno yogi, è nel principio dello yoga, della conoscenza o della comprensione, significa che può integrare ogni cosa nella sua condizione usuale. Certo, a volte abbiamo bisogno di un posto tranquillo per brevi periodi come una settimana o un mese, o anche tre mesi per fare pratiche come rushen (ru shan), shine (zhi gnas), semdzin (sem ‘dzin) o zernga (gzer lnga). Tutte queste sono pratiche molto importanti per sperimentare le emozioni e comprendere la differenza tra mente e natura della mente. E anche per sperimentare lo stato del rigpa. Sono importanti quando si inizia la pratica dello Dzogchen in modo che si possa entrare nella vera natura dell’insegnamento. Oppure se qualcuno ne ha già avuto esperienza allora può iniziare a realizzarle. Ma questo non significa che il principio della pratica sia solo trovare rifugio da qualche parte e fuggire dal mondo ordinario. Il principio è imparare ad integrare e a dare valore a tutto ciò che è legato alla condizione normale.
Vita quotidiana
Quindi, se veramente siete un buon praticante di Dzogchen, non è necessario che mostriate di rifiutare, accettare o cambiare qualcosa. Oggi ci sono molte persone che hanno questo atteggiamento e cercano di mostrare qualcosa. Ma il principio dell’insegnamento non è mostrare qualcosa o fare uno show, ma manifestare automaticamente la propria realizzazione attraverso il comportamento, la propria vita quotidiana. Se per esempio siete un buon praticante, subito manifestate di avere meno tensioni perché avete la capacità di integrare. Se avete dei problemi, non sentite che sono veramente pesanti perché non avete la considerazione che siano qualcosa di molto importante. Esiste sempre la possibilità di integrare.
C’è un detto in un tantra dell’Upadesha: “Il fuoco non brucia il fuoco e l’elemento aria non si autodistrugge”. Questo significa che se siete nella vostra vera natura, non ci sono problemi. Quando siete in quell’integrazione, ebbene quella si chiama realizzazione. Quindi in questo modo dovete capire qual è il vero significato dell’integrazione.
Principio di integrazione
Molte persone hanno l’idea che integrazione significhi mescolare le cose. Alcune persone per integrare metodi diversi creano una sorta di miscela. Qualcuno mi ha chiesto se poteva integrare metodi di insegnamento che non sono Dzogchen con l’insegnamento Dzogchen. Dico sempre che se conoscete qual è il vero senso dell’integrazione, potete integrare tutto, non solo alcuni metodi, buddihsti o altro. Non importa. Potete integrare tutto nella condizione relativa, l’intero universo. Non ci sono limiti. Ma se non capite cosa significhi integrazione, allora create solo una sorta di confusione, mettendo insieme due cose diverse, creando una miscela o trasformandole e considerando che questa sia integrazione. Ma questo non è il vero significato di integrazione. Questo significa che state cambiando le cose e creando problemi.
Se per esempio state imparando un metodo, questo ha il suo principio, quindi dovete imparare e usare quel metodo in modo preciso. Se cambiate, trasformate o modificate quel metodo, non avrà più la sua funzione. Se state usando qualsiasi tipo di metodo tantrico, dovete usare la forma e il colore corretti per la visualizzazione. Tutto è un simbolo fissato da quando il metodo è stato trasmesso per la prima volta e non potete mai cambiarlo nemmeno in minima parte. Se cambiate qualcosa questo non significa che state integrando.
Alcune persone dicono di essere degli Occidentali e invece dei cinque Dhyani Buddha usano cinque angeli. Ritengono che stiano integrando perché questa è conoscenza o cultura occidentale. Ma non è così. Stanno cambiando un metodo tantrico e se lo cambiano non c’è trasmissione. Queste persone stanno solo inventando in modo intellettuale. Questo non è insegnamento. L’insegnamento ha sempre avuto la sua trasmissione fin dall’inizio, che deve essere continuata in modo puro. Integrare significa essere nel vero senso. In quel caso, se volete usare cinque angeli, potete usare cinque angeli cristiani, ma in una pratica cristiana. Non significa che non potete usare la pratica cristiana nello Dzogchen. Non ci sono limiti. Ma poi dovete usare quei simboli così come sono insegnati nella tradizione Cristiana senza cambiare o trasformare. Questa è integrazione. Potete integrare tutto, ma nel modo corretto, mantenendo fin dall’inizio il principio della conoscenza e dell’integrazione.
Rigpa
Se comprendete l’integrazione in questo modo, allora ha senso, avete qualcosa da fare con il vero significato di questa parola, e potete capire che integrazione è lo stato della contemplazione. Nello Dzogchen quando siamo in quello stato diciamo che siamo in uno stato di integrazione totale o di totale rilassamento. Questo significa che quando siete nello stato del rigpa, ciò rappresenta l’integrazione totale. Se in quello stato non c’è integrazione totale, anche se usate la parola “integrazione”, non potete capire cosa essa significhi e ugualmente anche se ritenete di essere rilassati, se non scoprite e trovate voi stessi nella vostra vera natura, anche se usate questa parola, non siete nello stato di totale rilassamento.
Questo insegnamento è stato trascritto da una registrazione privata fatta da Namkhai Norbu Rinpoche per The Mirror durante il suo tour in Russia e Buriazia nel 1992.
Pubblicato per la prima volta nel numero 16 di The Mirror, luglio/agosto 1992.